“L’inconscio? Non è il vaso di Pandora che contiene tutti i mali del mondo. Ho sempre inteso il non cosciente, come non conosciuto, ma non inconoscibile: si può conoscere benissimo”. Il volume, l’undicesimo dell’Autore, raccoglie le lezioni svolte nel 2004 all’Università degli Studi di Chieti-Pescara, dove lo psichiatra dell’Analisi Collettiva tiene un affollatissimo corso di psicologia dinamica dal 2002.
Fagioli prende le mosse dalle origini della parola, usata per la prima volta dal filosofo Schelling nel 1800 e che in tedesco, “Das Unbewusste”, significa in realtà “inconoscibile”.
“E’ possibile che duecento anni di storia, duecento anni di movimento della mente umana, di quella stessa genialità dell’uomo che ha scoperto tantissime cose, che ha inventato le fibre ottiche, il laser e il treno ad alta velocità, si siano lasciati inibire e bloccare, non si siano mai ribellati a una parola inventata da un filosofo?”, si domanda Fagioli.
Dalla invenzione “geniale” nella seconda metà del ‘700 della parola psichiatria, medicina della psiche, a Pinel che separa la malattia dalla criminalità, fino a Esquirol che nel 1805 distingue le malattie in nevrosi e psicosi, passando per Mesmer (1784) che con il magnetismo animale, dimostra l’influenza di un essere umano su un altro essere umano, Fagioli traccia le tappe fondamentali della storia della psichiatria, attraverso la sua personale ricerca di medico, prima negli ospedali di Venezia e di Padova e poi a Kreutzlingen, in Svizzera, dove era stato chiamato a dirigere la Comunità terapeutica di lingua italiana presso la clinica Bellevue di Binswanger.
“Schelling – spiega nel libro Fagioli – usa per primo la parola inconscio per indicare qualcosa di non materiale che però esiste, non è spirito, ma sta dentro l’uomo. E’ una realtà umana, ma il non rendersene conto si è trasformato in un’impossibilità di conoscere”.
A questa sorta di “anatema, secondo cui la mente umana è inconoscibile e non si può toccare”, Fagioli contrappone l’idea di inconscio inteso come qualcosa di sconosciuto, che poi può essere conosciuto con la ricerca e attraverso l’interpretazione dei sogni. E giunge a pensare l’immagine inconscia non onirica: quella che da svegli si forma nella mente degli artisti.
Il cardine, spiega Fagioli, è “portare la formazione medica, i concetti di malattia, diagnosi, prognosi, cura e guarigione alla psichiatria”.
Ma non solo, “si tratta, ancora di più, di portarla all’inconscio”. Una novità assoluta, perché “in psichiatria non c’è nessuna impostazione medica: è stata abolita l’idea stessa di malattia mentale e di terapia”, aggiunge Fagioli, che usa sempre un linguaggio estremamente chiaro e semplice, ricco di esempi concreti e di riferimenti storici.
Tra gli episodi più significativi della sua lunga esperienza di psichiatra, quello del confronto diretto, senza alcuna mediazione, per trentasei ore di fila nell’ospedale di Padova, a fine Anni ’50, “con una paziente delirante che sosteneva: mia figlia è morta, mentre in realtà non era vero”. “C’era un invisibile – spiega Fagioli -: lei vuole che sia morta, le dissi ad un certo punto. Avevo scoperto una ‘volontà’ invisibile, la pulsione”. La donna si calmò e dopo altre dodici ore ininterrotte di interpretazione fu rimandata a casa.