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La théorie de la naissance humaine – Convegno interdisciplinare internazionale
24 Marzo 2023
8:00 - 17:00
Sarà possibile seguire la diretta streaming al seguente link https://webtv.univ-rouen.fr/lives/en-direct-de-la-maison-de-luniversite/
Traduzione italiana della presentazione
L’iniziativa di questo convegno proviene dalla pubblicazione nel 2022 di Instinct de mort et connaissance, traduzione francese del primo libro dello psichiatra italiano Massimo Fagioli[1], nel cinquantenario della sua prima edizione. Il libro contiene i fondamenti della teoria fagioliana sulla nascita umana, secondo la quale la realtà mentale in quanto pensiero si crea a seguito della reazione della sostanza cerebrale del feto allo stimolo della luce, all’uscita dal canale del parto. Sulla base di questa teoria, Fagioli, scomparso nel 2017, ha svolto la sua prassi terapeutica per più di cinquanta anni e prodotto decine di pubblicazioni tra libri, testi di corsi universitari e articoli.
Molti psichiatri e psicoterapeuti italiani basano oggi le loro terapie e ricerche sulla teoria di Fagioli, mentre sono ancora relativamente pochi e pionieristici gli studi nel campo delle scienze umane e sociali ispirati alla sua opera, la quale può invece dialogare con la filosofia su molti temi al centro della sua riflessione: dalla nozione di soggettività alle idee di uguaglianza e differenza tra gli esseri umani, dall’idea di natura umana a quella di storia, dalla concezione di irrazionale a quella di pensiero senza coscienza, dall’idea di comunità a quella di collettività. Solo per citarne alcuni più evidenti.
La traduzione di questo testo fondamentale dell’opera di Fagioli può essere anche l’occasione per riprendere un dialogo con la cultura umanista francese iniziato negli anni Ottanta e poi per la maggior parte interrotto sotto la pressione dell’egemonia postmoderna dell’epoca, ostile ad un pensiero che si poneva in linea con le idee illuministe di Liberté, Égalité et Fraternité, cui poi avrebbe aggiunto la parola Trasformazione[2].
L’egemonia postmoderna è oggi trascorsa, lasciandoci però in eredità la perdita di una di quelle idee, l’uguaglianza, stella polare di tutte le lotte di emancipazione degli ultimi due secoli. Al posto di un’identità umana universale a fondamento di un’«unica razza» (A. Einstein), che giustifica l’esistenza di diritti altrettanto universali, la cultura postmoderna ci ha consegnato una pluralità di identità comunitarie contrassegnate da specifiche diversità storiche, che in assenza di un fondamento comune diventano inevitabilmente assolute.
Perdita passata quasi inosservata mentre accadeva, solo oggi mostra le sue temibili conseguenze. Quando le nostre società, inquiete per più di un buon motivo – da una crisi economica che pare irrisolvibile alla crisi climatica che trasforma i nostri habitat naturali, da nuove epidemie che sconvolgono il nostro modo di vivere alla guerra che bussa alle nostre porte come un fantasma risorto – sono tentate di affidarsi a forze conservatrici che amplificano quelle diversità storiche, non per comporle con, ma per contrapporle a l’uguaglianza di tutti gli esseri umani tra loro.
Le ricerche di Emmanuel Faye degli ultimi due decenni possono gettare una luce su questo fenomeno, poiché mettono in evidenza le mille sfumature di un movimento culturale che, parafrasando il titolo di un suo noto lavoro, potrebbe definirsi «l’introduzione della Weltanschauung nazista nella cultura». Faye – svelando la collusione profonda del pensiero di autori come Martin Heidegger e Carl Schmitt con quella «visione del mondo» che loro stessi avevano contribuito intellettualmente a legittimare – ha mostrato la contraddizione strisciante che ha accompagnato lo sviluppo culturale successivo alla sconfitta del nazifascismo.
Se, infatti, è comprensibile che questi autori continuassero ad ispirare i movimenti politico-culturali che intendevano mantenere in vita tale «visione» disumana, ben più sorprendente è che le loro teorie siano state accolte anche dalla cultura postmoderna, che si diceva progressista. Questa contraddizione ha indirettamente favorito la «riconquista dell’egemonia da parte della nuova destra» (E. Faye), la quale, parallelamente alla riaffermazione di stereotipi xenofobi se non apertamente razzisti, oppone i diritti presunti originari delle proprie comunità – più o meno etniche, più o meno religiose, più o meno culturali – a quelle altrui, ma anche ai diritti umani universali individuali.
In questa situazione potenzialmente esplosiva, le nostre società sono disorientate anche a causa di un’evoluzione tecnologica inarrestabile, che stravolge gli abituali modi della comunicazione e del lavoro. Maurizio Ferraris, nel suo ultimo Documanità, afferma che la nostra epoca sta vivendo una «rivoluzione tecnologica» il cui «vero obiettivo è l’automazione di tutti i processi di produzione»: «una situazione drammatica e senza via d’uscita, che annuncia una crisi incomparabile rispetto a quelle che l’umanità ha conosciuto sinora». Di fronte a ciò, anziché abbandonarsi al vittimismo catastrofico, è a noi che «spetta il compito di una rivoluzione concettuale». Un compito al quale non ci si può sottrarre, perché è necessario per accompagnarci «nel tempo, lungo, ma non infinito» che servirà agli esseri umani delle generazioni future per non pensarsi più primariamente come «produttori», trasformando così il tempo che l’automazione ci lascia libero in un’occasione di progresso. È dunque un’«umanità a venire» quella che la contemporaneità ci prospetta, un cambiamento della nostra «natura umana».
Ma è questa stessa natura umana comune che oggi viene negata dai movimenti culturali sopra citati, i quali, per ovviare alla difficile composizione tra l’eguaglianza naturale e le diversità storiche umane, hanno annullato la prima. É quindi necessario che la «rivoluzione concettuale» giustamente proposta da Ferraris includa tra i suoi doveri anche quello di riprendere la ricerca sulla ineliminabile compresenza di eguaglianza e diversità nella condizione umana, per quanto essa possa apparire come una contraddizione insanabile.
La riflessione filosofica su questa antinomia può trovare solide basi nella dinamica psicofisica fisiologica della nascita descritta da Massimo Fagioli. Il pensiero di un medico psichiatra può cioè dialogare con quello filosofico di chi, come Alison Stone in Being born. Birth and Philosophy, si pone l’obiettivo di indagare il significato dell’inizio della vita umana, contribuendo così «a superare la negligenza dei filosofi nei confronti del nascere». Stone sottolinea infatti come, sinora, la filosofia «abbia detto molto poco sulla nascita e su come essa modelli la nostra esistenza», concentrando piuttosto le sue riflessioni sull’altro polo dell’esistenza, la morte.Al di là di ogni autoreferenzialità, questa ricerca di socratica memoria di noi stessi su noi stessi può avvalersi oggi della collaborazione tra le diverse scienze e di un confronto multiculturale tra diversi modi di pensare e di vivere, facilitati entrambi dalla tecnologia stessa, troppo spesso ingiustamente vituperata. È quindi con tale spirito, solo apparentemente utopico, che questo convegno si pone come l’occasione di un dialogo interdisciplinare, intorno all’edizione in una lingua diversa dall’originale, di un libro che propone una conoscenza di quanto della nostra mente è stato spesso in passato dichiarato inconoscibile.
Organizzazione scientifica: Livia Profeti
ERIAC – Université de Rouen NormandieNOTE
[1] L’opera è stata tradotta dall’italiano da Elena Girosi, Corinne Lebrun Gros e Federica Amerio, per i tipi della casa editrice L’Asino d’oro (Roma).
[2] Massimo Fagioli ha tenuto per undici anni, dal 2006 al 2017, una rubrica dal titolo «Trasformazione» sul settimanale LEFT, il cui nome, a sua volta, fu composto come acronimo delle parole Libertà, Eguaglianza, Fraternità, Trasformazione, al contempo allusivo al significato del termine inglese left.
Molti psichiatri e psicoterapeuti italiani basano oggi le loro terapie e ricerche sulla teoria di Fagioli, mentre sono ancora relativamente pochi e pionieristici gli studi nel campo delle scienze umane e sociali ispirati alla sua opera, la quale può invece dialogare con la filosofia su molti temi al centro della sua riflessione: dalla nozione di soggettività alle idee di uguaglianza e differenza tra gli esseri umani, dall’idea di natura umana a quella di storia, dalla concezione di irrazionale a quella di pensiero senza coscienza, dall’idea di comunità a quella di collettività. Solo per citarne alcuni più evidenti.
La traduzione di questo testo fondamentale dell’opera di Fagioli può essere anche l’occasione per riprendere un dialogo con la cultura umanista francese iniziato negli anni Ottanta e poi per la maggior parte interrotto sotto la pressione dell’egemonia postmoderna dell’epoca, ostile ad un pensiero che si poneva in linea con le idee illuministe di Liberté, Égalité et Fraternité, cui poi avrebbe aggiunto la parola Trasformazione[2].
L’egemonia postmoderna è oggi trascorsa, lasciandoci però in eredità la perdita di una di quelle idee, l’uguaglianza, stella polare di tutte le lotte di emancipazione degli ultimi due secoli. Al posto di un’identità umana universale a fondamento di un’«unica razza» (A. Einstein), che giustifica l’esistenza di diritti altrettanto universali, la cultura postmoderna ci ha consegnato una pluralità di identità comunitarie contrassegnate da specifiche diversità storiche, che in assenza di un fondamento comune diventano inevitabilmente assolute.
Perdita passata quasi inosservata mentre accadeva, solo oggi mostra le sue temibili conseguenze. Quando le nostre società, inquiete per più di un buon motivo – da una crisi economica che pare irrisolvibile alla crisi climatica che trasforma i nostri habitat naturali, da nuove epidemie che sconvolgono il nostro modo di vivere alla guerra che bussa alle nostre porte come un fantasma risorto – sono tentate di affidarsi a forze conservatrici che amplificano quelle diversità storiche, non per comporle con, ma per contrapporle a l’uguaglianza di tutti gli esseri umani tra loro.
Le ricerche di Emmanuel Faye degli ultimi due decenni possono gettare una luce su questo fenomeno, poiché mettono in evidenza le mille sfumature di un movimento culturale che, parafrasando il titolo di un suo noto lavoro, potrebbe definirsi «l’introduzione della Weltanschauung nazista nella cultura». Faye – svelando la collusione profonda del pensiero di autori come Martin Heidegger e Carl Schmitt con quella «visione del mondo» che loro stessi avevano contribuito intellettualmente a legittimare – ha mostrato la contraddizione strisciante che ha accompagnato lo sviluppo culturale successivo alla sconfitta del nazifascismo.
Se, infatti, è comprensibile che questi autori continuassero ad ispirare i movimenti politico-culturali che intendevano mantenere in vita tale «visione» disumana, ben più sorprendente è che le loro teorie siano state accolte anche dalla cultura postmoderna, che si diceva progressista. Questa contraddizione ha indirettamente favorito la «riconquista dell’egemonia da parte della nuova destra» (E. Faye), la quale, parallelamente alla riaffermazione di stereotipi xenofobi se non apertamente razzisti, oppone i diritti presunti originari delle proprie comunità – più o meno etniche, più o meno religiose, più o meno culturali – a quelle altrui, ma anche ai diritti umani universali individuali.
In questa situazione potenzialmente esplosiva, le nostre società sono disorientate anche a causa di un’evoluzione tecnologica inarrestabile, che stravolge gli abituali modi della comunicazione e del lavoro. Maurizio Ferraris, nel suo ultimo Documanità, afferma che la nostra epoca sta vivendo una «rivoluzione tecnologica» il cui «vero obiettivo è l’automazione di tutti i processi di produzione»: «una situazione drammatica e senza via d’uscita, che annuncia una crisi incomparabile rispetto a quelle che l’umanità ha conosciuto sinora». Di fronte a ciò, anziché abbandonarsi al vittimismo catastrofico, è a noi che «spetta il compito di una rivoluzione concettuale». Un compito al quale non ci si può sottrarre, perché è necessario per accompagnarci «nel tempo, lungo, ma non infinito» che servirà agli esseri umani delle generazioni future per non pensarsi più primariamente come «produttori», trasformando così il tempo che l’automazione ci lascia libero in un’occasione di progresso. È dunque un’«umanità a venire» quella che la contemporaneità ci prospetta, un cambiamento della nostra «natura umana».
Ma è questa stessa natura umana comune che oggi viene negata dai movimenti culturali sopra citati, i quali, per ovviare alla difficile composizione tra l’eguaglianza naturale e le diversità storiche umane, hanno annullato la prima. É quindi necessario che la «rivoluzione concettuale» giustamente proposta da Ferraris includa tra i suoi doveri anche quello di riprendere la ricerca sulla ineliminabile compresenza di eguaglianza e diversità nella condizione umana, per quanto essa possa apparire come una contraddizione insanabile.
La riflessione filosofica su questa antinomia può trovare solide basi nella dinamica psicofisica fisiologica della nascita descritta da Massimo Fagioli. Il pensiero di un medico psichiatra può cioè dialogare con quello filosofico di chi, come Alison Stone in Being born. Birth and Philosophy, si pone l’obiettivo di indagare il significato dell’inizio della vita umana, contribuendo così «a superare la negligenza dei filosofi nei confronti del nascere». Stone sottolinea infatti come, sinora, la filosofia «abbia detto molto poco sulla nascita e su come essa modelli la nostra esistenza», concentrando piuttosto le sue riflessioni sull’altro polo dell’esistenza, la morte.Al di là di ogni autoreferenzialità, questa ricerca di socratica memoria di noi stessi su noi stessi può avvalersi oggi della collaborazione tra le diverse scienze e di un confronto multiculturale tra diversi modi di pensare e di vivere, facilitati entrambi dalla tecnologia stessa, troppo spesso ingiustamente vituperata. È quindi con tale spirito, solo apparentemente utopico, che questo convegno si pone come l’occasione di un dialogo interdisciplinare, intorno all’edizione in una lingua diversa dall’originale, di un libro che propone una conoscenza di quanto della nostra mente è stato spesso in passato dichiarato inconoscibile.
Organizzazione scientifica: Livia Profeti
ERIAC – Université de Rouen NormandieNOTE
[1] L’opera è stata tradotta dall’italiano da Elena Girosi, Corinne Lebrun Gros e Federica Amerio, per i tipi della casa editrice L’Asino d’oro (Roma).
[2] Massimo Fagioli ha tenuto per undici anni, dal 2006 al 2017, una rubrica dal titolo «Trasformazione» sul settimanale LEFT, il cui nome, a sua volta, fu composto come acronimo delle parole Libertà, Eguaglianza, Fraternità, Trasformazione, al contempo allusivo al significato del termine inglese left.